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Licenziamento verbale: come impugnarlo e ottenere un risarcimento

Il tema della risoluzione di un rapporto di lavoro è un tema che contiene al suo interno molteplici e diverse sfumature: esistono, infatti, diverse tipologie di licenziamento. In questo articolo, ci dedicheremo ad approfondirne uno in particolare, cioè il licenziamento cosiddetto verbale (o orale).

Ma in che cosa consiste un licenziamento verbale? Il licenziamento verbale può essere definito come uno scioglimento unilaterale del rapporto di lavoro, disposto dal datore di lavoro solo verbalmente, caratterizzata dall’assenza di comunicazione scritta destinata al lavoratore.

In realtà, secondo la Giurisprudenza, il licenziamento verbale è un licenziamento illegittimo, dal momento che viola l’articolo 2 della Legge 604/1966, all’interno del quale è stabilito che “il datore di lavoro […] deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro. […] Il licenziamento intimato senza l’osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è inefficace“. Non solo, quindi, il licenziamento verbale è un licenziamento illegittimo, ma è anche un licenziamento inefficace.

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Come agire per impugnare un licenziamento verbale e ottenerne il risarcimento

Ma cosa fare, dunque, se ci si trova in una situazione del genere? Come è possibile impugnare un licenziamento verbale e ottenere il risarcimento? Innanzitutto, è necessario parlare di tempistiche: un licenziamento ritenuto illegittimo deve essere impugnato dal lavoratore normalmente entro sessanta giorni dalla sua comunicazione.

Ebbene, il lavoratore licenziato verbalmente può invece proporre ricorso giudiziale contro il licenziamento entro cinque anni (termine di prescrizione) e non è invece tenuto a impugnare il provvedimento entro 60 giorni, come è normalmente richiesto dalla legge per le ipotesi di licenziamento illegittimo.

Quali sono le conseguenze di un licenziamento verbale?

Va detto che il licenziamento verbale è sanzionato dall’articolo 18, comma 1, della Legge 300/1970 – anche conosciuto come lo Statuto dei Lavoratori, il quale stabilisce che in caso di licenziamento verbale il dipendente debba essere reintegrato all’interno del suo posto di lavoro.

Più nello specifico, il lavoratore ha diritto a:

  • essere reintegrato nel posto di lavoro;
  • ottenere il risarcimento del danno per il periodo successivo al licenziamento e fino all’effettiva reintegra, dedotto quanto percepito da altra occupazione (il risarcimento non può comunque essere inferiore nel minimo di cinque mensilità di retribuzione);
  • ottenere il versamento dei contributi assistenziali e previdenziali per tutto il periodo dal giorno del licenziamento a quello della reintegra;
  • scegliere fra la reintegra e l’indennità sostitutiva pari a quindici mensilità della retribuzione globale di fatto.

Il regime sanzionatorio applicabile in caso di licenziamento illegittimo è stato di recente modificato dal legislatore: il 7 marzo 2015 è entrato in vigore il Decreto legislativo 23/2015 (c.d. Jobs Act), che ha introdotto un nuovo regime di tutela a favore dei lavoratori illegittimamente licenziati.

La nuova disciplina non ha però introdotto novità significative per l’ipotesi del licenziamento orale.
L’art. 2 del decreto stabilisce infatti che, in caso di licenziamento intimato in forma orale, il lavoratore continua ad avere diritto:

  1. alla reintegrazione nel posto di lavoro
  2. al risarcimento del danno
  3. al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali
  4. a poter sostituire la reintegra con un’indennità pari a quindici mensilità.

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L’unica novità introdotta dal decreto, in tema di licenziamento orale, è rappresentata dalla base di calcolo dell’indennità che il datore di lavoro è tenuto a versare al lavoratore a titolo di risarcimento del danno: mentre il secondo comma dell’art. 18 fa riferimento alla retribuzione globale, il secondo comma dell’art. 2 del Decreto legislativo 23/2015 prevede, invece, che l’indennità debba essere “commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività”.

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