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Il licenziamento ingiusto: come difendersi e ottenere un risarcimento

Con il termine licenziamento ingiusto (anche detto licenziamento illegittimo) si intende un licenziamento da parte del datore di lavoro nei confronti di un lavoratore, senza che ci sia la presenza di una causa valida o di un motivo previsto dal diritto del lavoro; questa tipologia di licenziamento prevede non solo un indennizzo e un risarcimento danni, ma in alcuni casi anche il reintegro del lavoratore.

Per questo motivo, è necessario sapere come difendersi in caso di licenziamento ingiusto, cosa che scopriremo e che approfondiremo nell’ultimo paragrafo di questo articolo.

Va detto, prima di approfondire questo argomento, che con la Riforma Fornero e con il Jobs Act, il reintegro del proprio posto di lavoro a seguito di un licenziamento ingiusto è diventato sempre più difficoltoso, dal momento che queste due riforme riguardanti lo Statuto dei Lavoratori hanno rappresentato una modifica degli strumenti a disposizione dei lavoratori per fronteggiare situazioni di questo genere.

Scopriamo dunque come difendersi e come ottenere un risarcimento in caso di licenziamento ingiusto; non prima, però, di aver fornito una panoramica generale di quali siano le diverse tipologie di licenziamento.

Le diverse tipologie di licenziamento

Oltre al licenziamento ingiusto, che come abbiamo visto sta ad indicare un licenziamento senza una causa scatenante valida, esistono altre due tipologie di licenziamento: il licenziamento per giusta causa e il licenziamento per giustificato motivo, entrambi causati (al contrario del licenziamento ingiusto) da un inadempimento o da un comportamento poco corretto da parte del lavoratore licenziato. Analizziamole insieme.

  • Per quanto riguarda licenziamento per giusta causa, la motivazione del licenziamento deve essere abbastanza grave da non consentire la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro (art. 2119 del Codice Civile).
  • Nel caso del licenziamento per giustificato motivo, la motivazione è sicuramente meno grave e questa tipologia di licenziamento può essere di tipo oggettivo se la motivazione riguarda l’attività lavorativa (es. soppressione posto di lavoro, difficoltà economiche dell’azienda ecc.), oppure soggettivo se la motivazione alla base del licenziamento riguarda, invece, il comportamento del lavoratore.

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Licenziamento ingiusto: quali tutele?

Come abbiamo detto nell’introduzione di questo articolo, dopo la Riforma Fornero e dopo il Jobs Act, le cose per i lavoratori che subiscono un licenziamento ingiusto si sono fatte molto più complicate di quanto lo erano in precedenza, tanto che il reintegro del proprio posto di lavoro è diminuito in maniera drastica, mettendo così a dura prova la tutela del lavoratore.

In linea generale caso di licenziamento illegittimo sono previste forme di tutela a favore del lavoratore che possono variare a seconda della dimensione dell’azienda, della gravità del vizio che inficia il licenziamento e della data di assunzione.

Vanno fatte, in particolare, due distinzioni a seconda del caso che ci si trova di fronte: la prima distinzione va fatta in merito al momento dell’assunzione, che divide i lavoratori in quelli che sono stati assunti prima del 7 marzo del 2015 e in quelli che sono stati assunti dopo il 7 marzo del 2015.

Per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015, la reintegrazione è limitata ai licenziamenti nulli, inefficaci e discriminatori e per quelli disciplinari in caso di insussistenza del fatto materiale contestato. L’indennizzo per licenziamento illegittimo è certo e correlato all’anzianità di servizio.

 

La seconda distinzione va fatta in base alle dimensioni dell’azienda e al numero di dipendenti: nel caso di una azienda piccola e che conta fino ad un massimo di 15 dipendenti, il lavoratore è meno tutelato.

Infatti, tranne pochi casi (es. licenziamento discriminatorio, orale, in gravidanza ecc.) anche nel caso in cui venisse dimostrata la non sussistenza di un motivo valido per il licenziamento, il lavoratore non ha diritto al reintegro del proprio posto di lavoro, ma ha solamente diritto al risarcimento danni.

Licenziamento ingiusto: come impugnarlo?

Il lavoratore che vuole contestare il licenziamento deve manifestare con atto scritto, da inoltrare entro e non oltre 60 gg., al datore di lavoro la propria volontà di impugnare il provvedimento espulsivo.

È di assoluta importanza, quindi, che l’atto scritto di contestazione del licenziamento intervenga attraverso modalità tali da garantire al lavoratore la prova della tempestiva impugnazione (raccomandata a/r o a mani, o pec, etc.).

Viceversa il licenziamento si stabilizzerà ed il lavoratore perderà la possibilità di contestare la decisione presa dal datore di lavoro.

Una volta impugnato il licenziamento con atto scritto stragiudiziale, il lavoratore, entro il termine massimo di 180 giorni dall’inoltro della contestazione (e non da quello, successivo, del ricevimento della stessa da parte del datore di lavoro) deve a pena di irrimediabile inefficacia della contestazione:

  • depositare nella cancelleria del tribunale competente un ricorso giudiziale

oppure

  • comunicare alla controparte la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato da promuovere per il tramite dell’Ispettorato del Lavoro di zona oppure secondo le analoghe procedure eventualmente previste dal CCNL applicato al rapporto.

Intrapresa questa strada, nel caso in cui la procedura richiesta dal lavoratore sia rifiutata dal datore di lavoro, oppure non si raggiunga l’accordo in merito al relativo espletamento, il ricorso giudiziale deve essere depositato entro e non oltre 60 gg. dal rifiuto o mancato accordo.

E ‘ da segnalare che la recentissima riforma Cartabia ha introdotto, anche per le controversie di lavoro, la “negoziazione assistita” che di fatto consente alle parti di disporre dei propri diritti anche al di fuori delle c.d. sedi protette, avvalendosi dell’assistenza dei rispetti avvocati, i quali insieme alle parti costituiscono presenze necessarie della procedura di negoziazione.

Si tratta quindi di una modalità alternativa di risoluzione della controversia, che tuttavia è facoltativa e non costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

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