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Diffamazione

Risarcimento Danni per Diffamazione a Torino: informazioni e consulenza su StudioLegaleRisarcimentoDanni.it degli avvocati Bombaci e Laganà

Occorre sempre moderare i toni durante una discussione, e più in generale nella vita corrente, dato che basta davvero valicare di poco i limiti della critica per vedersi recapitare una richiesta di risarcimento dei danni morali per diffamazione.

Questo reato, che si pensa possa punire solo comportamenti estremi, è in realtà molto facile da commettere stante la sua natura soggettiva la facilità con la quale oggi è possibile estendere il proprio pensiero verso una platea pressoché indefinita di individui.

Cosa dice la Legge

La diffamazione è un reato, è come tale inserito all’interno del Codice Penale nell’art. 595, nella categoria dei reati contro l’onore. È già intuibile dalla sua collocazione quale sia il bene che lo Stato voglia tutelare, ovvero la reputazione del soggetto passivo.

La condotta consiste nell’offendere l’altrui reputazione comunicando con più persone. Trattandosi di un delitto, prevede una pena detentiva principale che può arrivare oltre i tre anni per i casi più gravi.

Per l’accertamento del reato di diffamazione e per ottenere un risarcimento danni e quindi la quantificazione materiale di quanto la condotta posta in essere da terzi possa aver arrecato un danno di carattere non patrimoniale, occorre agire tramite una denuncia querela da presentare presso un Ufficio di Polizia, ovvero per mezzo di un legale, che provvederà al suo deposito presso la Procura della Repubblica competente.

L’intervento di un professionista è sempre auspicabile, dato che per ottenere la massima personalizzazione ed il ristoro dell’oltraggio subito, occorre una competenza che sfugge generalmente all’uomo medio. Oltre al questo, va rammentato che la difesa tecnica, in un qualsiasi procedimento innanzi all’Autorità Giudiziaria, è obbligatoria.

Il risarcimento dei danni morali rientra tra quelli di genere non patrimoniale, previsti dall’art. 2059 del codice civile, la cui liquidazione avviene in modo equitativo, ovvero sarà compito di un Giudice terzo stabilirne il peso in termini economici.

Qualche esempio

Uno degli ambienti dove questo reato si concretizza più frequentemente è il web. Sebbene si tratti solo di un esempio, è facile che un post contro una persona, magari pubblicato attraverso un social network, possa riunire in sé tutti gli elementi costitutivi che sono propri di questo genere di condotta penalmente rilevante. La rete, per la sua capacità di infiltrare il tessuto sociale in modo capillare, viene trattata alla stregua di un giornale e pertanto si parlerà di diffamazione a mezzo stampa, con conseguente risarcimento dei danni arrecati.

Anche il datore di lavoro può incorrere in questa violazione, per esempio contestando in forma scritta una determinata condotta al lavoratore, ma lasciandosi andare ad espressioni particolarmente colorite che possano offenderne l’onore e la rispettabilità. Su questa ipotesi si possono rintracciare svariate Sentenze delle Corti di merito, e non è affatto infrequente il caso dove il condannato debba provvedere ad un esborso in denaro per sanare la sua condotta.

Alcune Sentenze in merito alla diffamazione

Il Tribunale di Cuneo in data 8 novembre 2018, pronunciandosi in merito ad un caso di atti persecutori, ha condannato una donna alla pena di due anni e mezzo di reclusione, ma ha comminato anche alla medesima un risarcimento dei danni morali pari a 30 mila euro per il reato di diffamazione a mezzo stampa.

Il 10 novembre 2018 il Tribunale di Teramo è intervento nei confronti di un datore di lavoro che aveva scritto frasi ingiuriose sotto casa di una ex dipendente. La parte soccombente è stata sanzionata e costretta a pagare una somma cospicua di denaro.

Ancora, il Tribunale di Cassino, il 2 Novembre 2018, ha condannato una donna che aveva scritto delle frasi ingiuriose sul web nei confronti di un dentista, del quale non era rimasta soddisfatta della prestazione professionale.

La Corte di Cassazione, V Sezione Penale, con Sentenza 17217 del 2016 ha chiarito che l’utilizzo di espressioni gravemente infamanti o umilianti sono sufficienti a superare il limite della continenza e ad integrare quindi il reato di diffamazione.

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